Sulla felicità ed il desiderio

Aperto da Naddolo, 08 Settembre 2009, 00:44:23

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Naddolo

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Citazione di: sfigatto il 08 Settembre 2009, 16:24:28
Ci sono quelli che lavorano per vivere e quelli che vivono per lavorare...

[....]

Sfigatto, che lavora per vivere e vive per divertirsi.

+1!

Nad84

Naddolo

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Citazione di: james.mar il 08 Settembre 2009, 12:28:51
Precisamente nad (ma sei gestionale anche tu, od economista??).

Economista (qualunque cosa questo voglia dire! :-D)

Nad84

Micione

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riflessione ad alta voce, nulla più...


Se io non ho una cosa che voglio, sto in qualche modo male.
Se io ottengo quella cosa, sto in qualche modo bene, ma solo per breve periodo (salvo certi casi)

Quindi:
Se io desidero sfidarmi, salgo sopra il K2, ma giunto in vetta la gioia del risultato è di breve durata, poi necessito di ripetermi, con una nuova sfida, quindi salgo sopra l'everest.
Giunto in cima all'everest però, nasce il dramma, infatti alla fine della gioia provocata dall'essere salito sopra la cima più alta del mondo, non posso andare oltre, quindi mi posso solo ripetere, portandomi appresso una lunga scala per arrivare oltre il massimo... e poi?
E poi basta, più in alto non ci vai, a meno che non ci si focalizzi su qualcosa che, questa società consumistica, cerca a tutti i costi di nasconderti.
Sto parlando dell'esperienza connessa all'impresa ed al ricordo della stessa nei momenti di scoramento, 20 anni fa ero una sega completa, coraggioso nella media ma totalmente imbelle, ora, con i giusti stimoli, sono una macchina perfetta per l'annientamento di altri esseri umani.
Svariati anni fa, l'idea di guidare un autoveicolo, era per me qualcosa di agghiacciante, oggi, credo di avere noin meno di 250.000 km d'esperienza.
Ieri non avevo idea di cosa servisse per andare a donne, ora comincio a farmi un'idea, ecc. ecc.

La scoperta connessa al viaggio, la bellezza di ciò che s'incontra lungo il viaggio l'interazione con cose, persone, sentimenti e sensazioni, ecco, per cosa vale la pena di salire in vetta al K2, piuttosto che camminare da Venezia a Pechino, piuttosto che fare un viaggio per le Indie passando da ponente, o cercare un passaggio a nord-ovest.
Saper godere delle piccole cose della vita, come un fiore che sboccia, una farfalla che vola, un buon sorso di vino, un cielo con tante nubi che cambiano forma ai capricci del vento, una birra in compagnoia facendo baracca con gli amici...
Sono tutte cose che dentro ti lasciano un segno, e per quanto piccolo sia, quel segno contribuisce a farti migliore, o peggiore, se sceglierai brutte esperienze come la droga, ma i colossi non vogliono.

Se non fai colazione con i cereali, cominci male, addirittura se non ci sono i complessi multivitaminici, il tuo sviluppo è compromesso in partenza, se non compri il detersivo giusto è inutile lavare, i tuoi denti fanno schifo ed il tuo fiato puzza, l'unico scampo è quel dentifricio.
Devi comprare quel prosciutto dato che gli altri non contano, la merenda puoi farla solo con quelle pastine, i biscotti sono milioni, ma solo quelli ti fanno cominciare bene la giornata, se non riesci a cagare è solo perchè non mangi il giusto yogurt.

Vogliamo poi parlare dei profumi o peggio delle auto? No, avete già capito cosa intendo.
per la forza di volontà che ci metti nel superarti sempre©beeblebrox
Sono convinto che ce la farai©^X^
Bello come descrivi il sesso, dovrebbe essere sempre così©Acqua
Sei una splendida persona, dentro, fuori e ricoperto@Amica
Ottimo osservatore@Termynetor
Si vede che stai diventando forte. Continua così e tra poco ce l' avrai fatta@Shark
mi piaci, uno che dice le cose dirette come stanno, fanculo il politically correct @Kleos
Sfigatto è uno che ci prova incessamente a differenza di moltissimi altri @ SunBeam
Sei un porco @ amichette

The Legend

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Riuppo il topic, non solo perchè interessante, ma anche perchè recentemente ho finito "happiness (Felicità)" scritto da Nettle, un esimio psicologo inglese: parla in maniera approfondita di questo concetto, spiegandone aspetti, origini, dinamiche nell'individuo. Riporto il mio riassunto, omettendo dati e nomi delle ricerche, per essere più sintetico. Ovviamente ognuno ne prenda gli spunti necessari, sottolineando che non è espressione diretta del mio parere.



L'appartenenza alle classi sociali elevate fa aumentare la soddisfazione di vita (in media passa da 7 a 7,8 su 10 in una vasta ricerca condotta in GB), non solo a causa del reddito maggiore, ma anche grazie a:  una diversa educazione, la possibilità di scegliersi il lavoro, lo status nelle relazioni lavorative e nella capacità di fruire di tempo libero. Tuttavia fra il 1970 e il 1990 il reddito procapite è aumentato di circa 1/3, cosa che non si è però estesa al livello di benessere medio: questo per due motivi. Il primo è che nonostante si guadagni di più, questo non ha intaccato ciò che le persone provano in quanto a sicurezza, libertà, obiettivi, ecc. Il secondo è che conta maggiormente ciò che si ha IN RELAZIONE a ciò che hanno gli altri. Come hanno dimostrato altre prove, la ricchezza relativa produce molti più effetti di quanta ne produca l'assoluta, e in secondo luogo più la classe sociale è elevata più aumenta la sensazione di avere sotto "controllo" tutto ciò che sta attorno.

Un altro studio australiano mostra che parte dell'associazione fra felicità e eventi della vita è un'associazione indiretta fra personalità e felicità: quando esaminiamo il rapporto fra circostanze della vita e felicità, quasi certamente sopravvalutiamo l'importanza degli eventi della vita. La variazione della felicità fra individui è determinata dal contributo di ogni singolo fattore:  in particolare, estroversione, nevroticismo e altri fattori della personalità; reddito, età, classe sociale e sesso uniti fanno nemmeno il 10%... Dunque non è necessario conoscere classe sociale o età (ad es.) ma bensì la personalità specifica dello stesso per raggiungere una misura della sua felicità: tuttavia non significa che la felicità rimarrà immutabile per sempre. Mentre  i fattori biologici sono immutabili e quelli sociali (in generale) sono difficilmente modificabili nell'immediato,  è la maniera in cui le persone affrontano il mondo che può essere cambiata, ed è molto più economica che cambiare tutte le circostanze esterne.

Molte persone, anche grazie al proliferare di manuali di auto aiuto e terapie alternative, credono di essere sbagliate e che esista qualche modo per essere perfettamente felici; questo si basa su due convinzioni: da una parte che la felicità personale possa essere accresciuta, dall'altra che la felicità personale accresciuta sia un obiettivo chiave (corretto, se non fosse una situazione più complessa). Tre generi di cambiamento psicologico possono essere manipolati intenzionalmente.
In  primis la riduzione delle emozioni negative (colpa, paura, preoccupazione, tristezza, collera, vergogna...) che tendono a creare un alone di negatività diffusa (a differenza delle sensazioni positive; es. se si vince la gara di freccette, difficilmente penseremo di essere campioni in tutto) a causa della loro caratteristica intrinseca di segnale d'allarme e quindi allo scopo di evitarne il ripetersi. Programmi che creano stimoli profondi per evitare catastrofi (es. la gazzella che sfugge impaurita dal leone), catturano la nostra piena consapevolezza e permeano i nostri pensiero per molto più tempo dei segnali positivi. Tuttavia al giorno d'oggi  le situazioni che provocano paura, vergogna, tristezza sono molto meno pressanti di un carnivoro affamato:  nella società occidentale pochi muoiono di fame, il tasso di omicidi basso, i gruppi sociali fluidi e flessibili. I nostri programmi di emozione negativa potevano funzionare bene nel Paleolitico, ma oggi si esauriscono in un inutile rimugino di paura e inquietudine.
Il secondo è aumentare l'emozione positiva tramite l'educazione alle attività piacevoli. Una banale lista di attività che ci piacciono, o una statistica sulle attività svolte e quali di queste ci portano maggior piacere. Tuttavia come mai pochi svolgono regolarmente attività piacevoli? La risposta la troviamo se ci domandiamo se le scelte individuali siano guidate dalla felicità e dal piacere: il nostro sistema del volere invece ci spinge a competere per una promozione, uno stipendio più alto, una casa nuova... secondo tutti quei criteri ortodossi ed evolutivi che hanno permesso ai nostri antenati di sopravvivere "meglio". E' un sistema che DEVE essere schiavizzante, perché si possa sopravvivere nel migliore modo possibile; un po' come l'emozione negativa, deve essere iperattivo, perché dieci allarmi falsi sono meglio di essere uccisi.
Infine l'ultimo e più efficace metodo che incide sulla felicità: cambiare argomento. Per uno strano paradosso della vita, sono felici solo coloro i quali concentrano la mente su qualcosa di diverso dalla propria felicità. Osservare banalmente un paesaggio, ancor di più quelli incontaminati, ricchi d'acqua, animali e piante; fare una collezione di qualcosa; la fede religiosa.

E questo ci conduce a un concetto fondamentale: la complessità dell'immagine dell'individuo. Io sono ad esempio uno studente, ma anche un cuoco in erba, un calciatore, un amico, ecc. Uno studio americano ha scoperto che più è complessa l'immagine di se di un individuo , meno la sua felicità oscilla quando riesce bene o male in qualcosa: se io sono un accademico e ho un insuccesso nel campo, tutto il mio io sembrerà poco efficace e meritevole, ma se sono tante altre cose, l'influenza sulla mia identità sarà meno pesante. Concentrarsi quindi su una serie più ampia di aspetti/preoccupazioni non rende meno forte il problema ma lo contestualizza: ci vengono in aiuto anche le tecniche di meditazione, che consentono di prendere contatto con i contenuti della propria coscienza. Anche mettere per iscritto le proprie esperienze con regolarità aiuta, perfino nel sistema immunitario.
Insieme al distacco dal dolore c'è il distacco dal desiderio, sempre più collegato a beni materiali e status sociali. Quando questi sono opprimenti (e spesso non sono mai raggiungibili, si vuole sempre di più...) è giusto abbandonarle. Una caratteristica nota a molte religioni o filosofie. Williams James scrisse: "Abbandonare le pretese procura un sollievo tanto benefico quanto il vederle gratificate. Si crea una strana leggerezza nel cuore quando si accetta in buona fede la propria nullità in un ambito particolare".

La base di molte gratificazioni sta nella sfida necessaria per ottenerle, e prendere una scorciatoia ne elimina il fascino. E' necessario avere la possibilità dell'infelicità perché la felicità abbia un significato. Una felicità ancor più grande quando diventa dedizione a qualche bene umanitario o scopo, quali la solidarietà, la giustizia, la verità, la bellezza. Ma la questione non può ridursi a una mera esortazione morale; ognuno deve essere arbitro della propria soddisfazione, e sicuramente non può provare vergogna e colpa se il proprio interesse non coesiste con lo scrivere romanzi o esplorare l'Amazzonia. Ancora, è il singolo a definire scopo di vita e esperienze da farsi: la psicologia ancora una volta non da una mano, perché non definisce una via.
L'attrazione non è una scelta.

Il gioco non è uno schema ma nasce e si evolve.

Lew Griffin

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Pare sia stato provato che la felicità non è direttamente collegata al benessere economico.

Secondo alcuni studi pare che il paese più felice del mondo sia la Costa Rica. Prendendo in considerazione l'attesa di vita della popolazione, la soddisfazione, e l'impronta ecologica.
L'Italia è al 69 posto, gli Stati Uniti al 114.

Interessante questo video

http://www.ted.com/talks/lang/ita/nic_marks_the_happy_planet_index.html


selezione all'ingresso nei posti
per garantire che, siano proprio tutti st*onzi.

Naddolo

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LOL ho provato a rileggere il mio post iniziale  e l'ho trovato di un pallosità inenarrabile  :buck:

per adesso penso una cosa: non si diventa felici conseguendo determinati obiettivi; ma, se si vogliono davvero raggiungere determinate cose, e non ce la si fa, si sta male e l'infelicità è dietro l'angolo...

Che poi non ci sia un nesso diretto, e sopratutto che non ci sia causalità tra felicità e ricchezza su questo sono d'accordissimo; allo stato dei fatti che sia meglio parlare di "non infelicità", il termine felicità si espone a troppi fraintendimenti; credo che per star bene (chiamiamolo così) siano necessarie due cose:

relazioni soddisfacenti (donne, amici, conoscenti, ecc)

attività che ci soddisfino (uno dei principali fattori di insoddisfazione è lo iato tra le potenzialità e il fare effettivo)

n00b

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Citazione di: ^X^ il 08 Settembre 2009, 11:51:28
Questo non è rilevante, sul serio. Quello che mi premeva sottolineare è che da quando ho iniziato a lavorare a oggi, il mio stipendio (zero rendite e zero evasione giusto per essere chiari) è quadruplicato, mentre invece le ore di lavoro si sono grossomodo ridotte del 30%.
Ma questo non ha inciso di una virgola sulla mia felicità, che come spiegavo sopra è rimasta costante nel tempo perchè evidentemente dipende da altri fattori che sono rimasti costanti nel tempo.

Non è che sei rimasto costante te? inteso come la somma di desideri, abitudini, prospettive modo di vedere la vita ecc?

ps: questa filosofia in questo post ricalca quella del dalai lama, ed è per questo che mi trovo letteralmente d'accordo.. perchè bisogna cercare di essere felici a prescindere perché se la facciamo dipendere da qualcosa ci sono buone probabilità che ciò non avvenga e nella vita la felicità è tutto allora se non avviene si butta vita.