Analisi tipa cosa capite su di lei ?

Aperto da Itachi uchica, 08 Agosto 2025, 17:47:58

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Itachi uchica

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Lei scrisse confidenzialmente ciò , dice di essere infp come personalità , per il resto sembra ego femmina se scoprite altro su di lei ditemelo, una sua analisi psicologica se ha qualche bisogno insoddisfatto


Radici
A volte mi capita di provare una sensazione strana, non saprei definirla, forse una sorta di smarrimento, di malinconia radicata che mi attanaglia. Inizio a sentirmi sola davanti alla mia vita, come buttata a caso in una qualunque esistenza che sento estranea ma allo stesso tempo mi caratterizza e mi marchia come un segno inconsapevolmente indelebile.
Mi sono sentita esattamente oggi pomeriggio, quando siamo usciti dalla strettoia tra la porta e il muro e mio padre ha chiuso il cancello del giardino tirandolo con fatica verso il muro inghiottito dall'edera. "Ecco!" ha detto, come fa sempre quando sente il bisogno di riempire un vuoto che non si è mai creato. L'ho seguito fino alla macchina e mi sono seduta davanti, mentre cacciavo il sacchetto di plastica a tema natalizio sotto il sedile. Spuntava un cappello di paglia intrecciata, lavorato a mano e una cravatta di seta a tema floreale che avevo preso, non so per quale motivo, forse mi sentivo in colpa a non aver trovato nulla di interessante e mi ero costretta a pensare che mi sarebbero serviti a qualcosa. In realtà quello della cravatta era un fatto moralmente estetico, nel senso che non avevo avuto cuore a buttarla nel cassonetto dove avevo riversato tutto il resto. Pensai ai contenitori per la spazzatura in fondo alla strada, alla montagna di vestiti che giacevano alla rinfusa nel secco residuo -avevo mica sbagliato cassonetto? Ci tenevo alla differenziata- erano così enormi che avrebbero potuto starci comode almeno due persone. Chissà se qualcuno ci aveva mai pensato. Mia nonna ci si era arrampicata dentro, una volta, e si era poi procurata un taglio sulla fronte, dove le era scivolato il coperchio. Era stata mia madre a raccontarmelo, con un tono misto tra il serio e il faceto come tutte le volte in cui riferiva aneddoti relativi a "Quella parte della famiglia". Ora mia nonna non era più in grado di saltare dentro i cassonetti, secondo mio padre nemmeno di alzarsi dal letto, anche se vari testimoni sostenevano di averla avvistata di recente durante alcuni dei suoi Grand Tour tra le spazzature migliori della città.
Mentre salivamo in macchina ho chiesto a mio padre come fosse possibile che la roba fosse sempre così tanta, se la nonna non usciva più di casa.
"Ma non so, è talmente tanta che sai, si rimescola e ne esce sempre della nuova".
Tutti i fine settimana lui e mia zia andavano a ripulire e a buttare via quello che potevano, avevano ideato uno stratagemma: si passavano i sacchi dalla finestra del bagno per far sì che la madre non se ne accorgesse. Dopo aver passato l'intero pomeriggio nelle massive pulizie di primavera che si svolgevano in tutti i periodi dell'anno, mio padre tornava a casa euforico, in uno dei suoi rari stati d'animo diversi dalla solita apatia; si sentiva soddisfatto, certo di aver fatto il possibile per occuparsi di sua madre.
Il discorso era costato a mia madre così tante liti che ormai nessuno aveva più voglia di dire nulla. Ascoltavamo impassibili i suoi "eh, ormai è così", "in fondo che ci vuoi fare", "mica la possiamo costringere" con lo sguardo fisso nel piatto, finché lei non si alzava mimando parole sofferenti e tornava in cucina scuotendo la testa.
Più volte avevo manifestato l'intenzione di voler partecipare a questi interventi di repulisti.
Il virtù di un egoismo ostinato, amante del rovistare nei negozi dell'usato, ero sicura che avrei trovato qualcosa di interessante. A detta di mio padre era tutto sporco e rotto, nonostante mia zia si portasse a casa abiti di seta e maglioni di cachemire tutte le volte che usciva da lì.
Ad ogni modo, nessuno dei due voleva che io ci andassi e il motivo era attribuito a mia nonna, che a malapena tollerava la loro presenza e non doveva sapere delle pulizia clandestina.
Oggi, quando mio padre a pranzo mi ha detto che sarebbe uscito alle due per andare da mia nonna chiedendomi se volevo venire, sono rimasta interdetta. Ero così interdetta che sulle prime ho risposto di no, temendo che ci fosse qualcosa sotto. Poi la curiosità ha avuto la meglio.
"Non ti spaventare" mi ha detto mentre spingeva una porta invisibile nel muro coperto di rampicante: ha aperto una fessura di circa venti centimetri ed è sgusciato dentro.
Il giardino era in condizioni migliori di quanto mi aspettassi, cataste di legna ovunque, rami, arbusti e foglie secche, una sorta di inverno perenne che sfidava orgoglioso le temperature di maggio. L'unico verde che permaneva era il rampicante, una calotta che stritolava il gazebo sotto il quale seguii mio padre. L'edera aveva avvolto il ferro battuto diventando parte integrante della copertura, tanto che il cielo sembrava scomparso; nella penombra erano sparse ferraglie varie: un tavolino arrugginito giaceva riverso a terra, tra i pezzi di vetro e i rami accatastati, qualche paiolo di rame e un sacchetto di attrezzi ossidati. Mentre faticavo a figurarmi in mente cosa avrebbe potuto farci una vecchia ultraottantenne con una sega arrugginita, mio padre mi mise in mano un sacchetto di vestiti pieni di terra e si avviò verso la strettoia dell'entrata con altri due sacchetti. Altri giacevano alla rinfusa in un sottoscala alle mie spalle, una montagna di brandelli di stoffa e plastica, ma anche cornici di legno spezzato e impolverato, tele sfondate e ceramiche in pezzi: ogni cosa era seminata, dispersa in un groviglio di altri frammenti abbandonati, non c'era nulla di integro. In quella totale scompostezza, seppure disturbante, non riuscivo a immaginare un ordine, un ipotetica realtà speculare in cui tutte le cose erano al loro posto: da troppo tempo l'unione aveva lasciato quel luogo per dare spazio ad una casualità tagliente che vi si abbatteva senza rimpianti.
Mi avviai con il mio sacchetto e volsi lo sguardo verso la casa che si erigeva inconsapevolmente stabile, l'intonaco immacolato, in quel campo di desolazione. Scorsi un movimento di tenda al di là del vetro sudicio, preceduto da due occhi spaventati che attribuii a mio zio. Viveva ancora con mia nonna, stipato nell'appartamento come le altre cianfrusaglie.
Io e padre svuotammo tutto il sottoscala, dividendoci le borse senza dire nulla. Ogni volta che uscivo dal cancello mi guardavo intorno con fare circospetto, temendo di incrociare qualcuno che conoscevo o che conosceva mia nonna anche solo di vista e sapeva dove abitava. Mi sentivo complice di un misfatto per cui non avevo colpe, aiutante di carnefici ingenui la cui facoltà di ragione poteva solo arrendersi e assecondarne il guasto operato.
Finii il lavoro solo perché non vedevo l'ora di andarmene, pur sentendo di non aver fatto nulla. Quando tornai dall'ultimo tragitto al cassonetto, scorsi mio padre che bussava al vetro, muovendo le labbra con fare concitato: sembrava arrabbiato, aggrottava le sopracciglia e agitava una mano. La porta finestra lo inghiottì e rimase dentro qualche minuto, per poi essere risputato fuori. Mi fece un cenno e mi avvicinai salendo le scale, giunsi fin davanti all'ingresso. Attraverso il vetro impolverato non si vedeva nulla, solo lo scuro, un infinito antro buio che sembrava non portare da nessuna parte. Misi un piede dentro, nella penombra e poi l'altro. La prima cosa che vidi fu una flebile luce azzurrina, lontana, sul fondo della stanza, davanti ad una sagoma nera. Quando gli occhi si furono abituati all'oscurità riconobbi i lunghi capelli neri di mio zio, che digitava febbrilmente al computer; stava seduto ad un tavolo, su cui si alternavano pile di riviste e cos'erano quelli? Lenzuoli? Pile di stoffe non meglio identificate che avvolgevano anche la sua poltrona. L'unico a non essere coperto era lui, con quello schermo luminoso che sembrava provenire da un'altra epoca.
Ai lati della scrivania altre cataste, più alte, non distinguevo da cosa fossero formate, ma continuavano per tutta la stanza, fino ai miei lati. Pur essendo vicini riuscivo a malapena a distinguere la parti singole di quegli agglomerati, colonne da cui spuntavano maniche, ombrelli e paralumi, scarpe, libri, quadri e cianfrusaglie di ogni tipo, rotte, macchiate o intere, alte fino al soffitto. Al centro delle due schiere si apriva un passaggio, un vicolo stretto e tortuoso a metà del quale stava mio padre, chino su una cornice nella quale erano incastrati dei libri mangiucchiati dalle tarme. L'odore di vecchio si imponeva con forza alle narici.
"Ce lo abbiamo Omero?" mi chiese.
"Abbiamo tutto" risposi e subito fui distratta da una figura che si faceva largo a fatica fra le cataste, una sagoma sottile e nodosa. Il volto esangue di mia nonna emerse dalla penombra reggendosi a malapena. Gli occhi grigie e vuoti, un'espressione sparuta; una lanugine bianca sul capo le incorniciava il viso scarno e giallognolo, raggrinzito nella bocca senza un dente.
Portava una vestaglia verde e infeltrita, dalla quale uscivano due polpacci ossuti che terminavano in un paio di pantofole spelacchiate.
"Claudiooo...chi c'èèèè" si rivolse al figlio. Sbiascicava.
"Guarda, è venuta la Giulia, ecco!" mio padre mi indicò.
"aaah...mmh...comee staiii?"
Cercai di ricordarmi se assumesse degli psicofarmaci, ma non mi veniva in mente nulla.
"Tutto bene" dissi e le rivolsi un sorriso incoraggiante.
Mi risposero due occhi vitrei.
"Allora noi andiamo" disse mio padre, che si era tirato su in piedi e pareva avere una gran fretta.
"Perchèè sei venutoo...dieci minuti?"
"Per farti salutare la Giulia, ma ora ce ne andiamo"
Imbracciò il libro e si avviò verso la porta.
"Dovevamoo...mettere a postoo...ma poii..." il malriuscito tono di scusa rimase ancora sospeso nell'aria impolverata, mentre lei voltava le spalle, inghiottita dall'antro buio dal quale aveva fatto la sua apparizione.
Un cappello di paglia intrecciata in modo grossolano era appoggiato su una pila di vasi incrinati e tappeti persiani arrotolati.
"Ciao" dissi rivolta a mio zio. Mi rispose un suono gutturale appena percettibile.
Afferrai il cappello e uscii alla luce della vita.
"odiami.. maledicimi.. aggrappati alla vita, corri, corri e sopravvivi in questo mondo atroce, poi un giorno...
torna da me con i miei stessi occhi!"